giovedì 28 maggio 2020

STEP #20

Leopardi e il mito della natura incorrotta

“È cosa indubitata che la civiltà ha introdotto nel genere umano mille spezie di morbi che prima di lei non si conoscevano, né senza lei sarebbero state. È parimente indubitato che la civiltà rende l’uomo inetto a mille fatiche e sofferenze che egli avrebbe potuto e dovuto tollerare in natura… È indubitato che la civiltà debilita il corpo umano, a cui per natura… si conviene la forza, e il quale, privo di forza, o con minor forza della sua natura, non può essere che imperfettissimo; e ch’ella  rende propria dell’uomo civile la delicatezza rispettiva di corpo, qualità che in natura non è propria né dell’uomo né di veruno altro genere di cose, né dev’esserlo. È indubitato che le generazioni umane peggiorano in quanto al corpo di mano in mano… Da tutte queste e da cento altre cose, da me altrove in diversi luoghi considerate, si fa più che certissimo e si tocca con mano, che i progressi della civiltà portano seco e producono inevitabilmente il successivo deterioramento del suo fisico, deterioramento sempre crescente in proporzione d’essa civiltà. Nei progressi della civiltà, e non in altro, consiste quello che i nostri filosofi, e generalmente tutti, chiamano oggidì… il perfezionamento dell’uomo e dello spirito umano”.
Un tempo l’uomo, vivendo a contatto con la natura, non corrotto e non inquinato dagli elementi artificiali del progresso e della civiltà, sapeva vivere ma oggi non più. 
L’uomo egocentrico, autonomo, sostituisce il proprio cuore con il proprio progetto, con la propria ideologia ed evade così la domanda di felicità: alla situazione reale viene sostituito uno schema del pensiero; non occorre più essere felice. 
Leopardi fu vittima, fino a venticinque anni, di una stessa ideologia, riconoscendo la ragione colpevole della situazione in cui l’uomo è costretto a vivere e attribuendo alla natura l’unica possibilità di vita autentica: si tratta della fase del “pessimismo storico”.
In questa fase del pensiero, il binomio Natura – Ragione presenta un’evidente sproporzione a vantaggio del primo elemento, considerato fonte di ogni beneficio per l’uomo, mentre il secondo termine  viene incolpato di aver snaturato l’uomo, di averlo reso artificiale. L’uomo è come se fosse colpito da  una perdita di energia vitale di cui è dotato fin dal principio e che perde nel tempo crescendo con lo sviluppo della ragione, con l’allontanamento da uno stato di natura, contraddistinto da un rapporto spontaneo e più vitale con le cose e con la realtà. L’uomo si trova a non sapere più vivere, a vivere artificiosamente e a dover imparare quello che un tempo sapeva per natura.

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